Nelle ultime settimane si è assistito ad un repentino rialzo dei tassi di mercato. Dopo un prolungato periodo di tassi eccezionalmente bassi, si sta tornando a valori più vicini alle medie di lungo periodo e la prospettiva è quella di probabili ulteriori incrementi nei prossimi mesi. In uno scenario in così rapida evoluzione, i mutuatari si domandano se sia opportuno stipulare un mutuo a tasso fisso oppure variabile, una scelta che non si poneva fino a pochi mesi fa quando il tasso fisso sembrava essere la scelta più rassicurante e probabilmente conveniente nel lungo termine. Che fare oggi?
Come si determina il tasso di un mutuo?
Prima di procedere con l’analisi, è opportuno ricordare come viene determinato il tasso di un mutuo. Quest’ultimo è frutto della somma di un parametro di mercato e dello spread, che rappresenta il valore percentuale da aggiungere al tasso di mercato per determinare il tasso finale del mutuo. I parametri di mercato da prendere in considerazione sono diversi a seconda della tipologia di tasso:
- per i mutui a tasso variabile solitamente si prende in considerazione il tasso euribor (la media ponderata dei tassi ai quali le banche dell’Unione Europea cedono depositi in prestito a breve termine);
- per i mutui a tasso fisso il parametro di riferimento al quale aggiungere lo spread è il tasso IRS (la media ponderata delle quotazioni alle quali le banche dell’Unione Europea si scambiano Interest Rate Swap, che è un indicatore della onerosità dei prestiti a medio-lungo termine).
Esistono differenti tassi euribor ed IRS a seconda della scadenza di riferimento. Il tasso euribor più frequentemente utilizzato per indicizzare i mutui a tasso variabile è quello a 3 mesi, ma è possibile che venga preso in considerazione anche il tasso a 1 mese o quello a 6 mesi. Per i mutui a tasso fisso solitamente il tasso IRS preso a riferimento è quello coincidente con la durata del mutuo: IRS a 10 anni per i mutui decennali, IRS a 20 anni per quelli ventennali e così via. Al contrario di quanto possa pensarsi, sebbene solitamente i tassi euribor e quelli IRS si muovono nella stessa direzione, non sempre è così: l’uno può anche scendere mentre l’altro sale e viceversa. In maniera analoga, sebbene solitamente i tassi di durata più breve tendono ad essere minori di quelli a lunga, non sempre ciò si verifica: ad esempio, il tasso IRS a 15 anni potrebbe risultare più alto di quello a 20 anni (come nel momento in cui scrivo).
Il grafico sotto illustra l’andamento degli ultimi 5 anni del tasso euribor a 3 mesi (in rosso) e di quello IRS a 20 anni (in blu). Dopo diversi anni di tassi in diminuzione, entrambi gli indici hanno raggiunto in tempi diversi i loro livelli minimi storici: con valori compresi fra 0% e 1% per l’IRS e addirittura negativi per l’euribor. Tutti e due gli indici sono cresciuti molto rapidamente da inizio anno, ma sono ancora su valori storicamente bassi ed inferiori a quelli medi di lunghissimo periodo.
Quale tipologia di tasso è più conveniente?
Che fare in questo contesto? Optare per il tasso fisso che in questo momento comporta un costo finanziario più alto di circa l’1,5% annui rispetto al variabile od optare per quest’ultimo? La scelta si complica considerando che, poiché i mutui vengono generalmente rimborsati con il metodo di ammortamento cosiddetto alla francese, nella prima fase di rimborso le rate sono costituite in prevalenza da quota interessi e in minima parte da quota capitale, mentre negli ultimi anni di rimborso accade il contrario. Per questo motivo, corrispondere un tasso più basso nella prima fase del mutuo comporta benefici maggiori rispetto a farlo nell’ultima fase. Dunque, partire con un mutuo a tasso variabile potendo contare su interessi più bassi nella prima fase del rimborso, può portare grandi vantaggi in termini di costo complessivo del finanziamento.
Facciamo i conti confrontando il costo di due mutui a 20 anni di un importo pari a 100.000 euro, l’uno a tasso fisso e l’altro a tasso variabile, ipotizzando un tasso fisso attuale pari al 3,5% ed uno variabile intorno al 2%. Nella prima ipotesi avremmo una rata mensile di circa 580 euro ed un monte interessi in venti anni di 39.200 euro circa. Nella seconda ipotesi a tasso variabile attualmente la rata sarebbe uguale a circa 506 euro con un monte interessi complessivo pari a 21.440 euro circa. In questo secondo caso l’importo è solo ipotetico in quanto il tasso variabile è soggetto alle variazioni dei tassi che mensilmente determinano una modifica anche della rata. Per poter fare un confronto più veritiero, occorre tentare di prevedere il futuro andamento dei tassi nella consapevolezza che, trattandosi una previsione, i valori effettivi finali potrebbero discostarsi molto da quelli ipotizzati in partenza. Ipotizziamo che le previsioni di rialzo dei tassi si realizzino veramente e che fra 12 mesi i tassi variabili siano all’3,5%, fra 24 mesi siano al 4%, per poi stabilizzarsi e cominciare nuovamente a scendere fermandosi al 3% a partire al 36° mese. Sulla base di questa ipotesi (ragionevole, ma assolutamente incerta) l’importo complessivo degli interessi in 20 anni finirebbe per essere pari a circa 34.000 euro e, dunque, comunque inferiore al costo del mutuo a tasso fisso. A fronte di questo risparmio potenziale, la rata del tasso variabile finirebbe nei primi anni per superare i 600 euro e un eventuale rialzo dei tassi più forte del previsto potrebbe invertire la convenienza economica rispetto all’ipotesi iniziale. In sostanza, in condizioni di normalità, il tasso fisso è generalmente più costoso di quello variabile e chi lo sceglie paga un premio implicito per garantirsi una rata stabile ed un costo complessivo predeterminato.
In questo momento una terza alternativa valutabile è quella di un tasso variabile con cap, ovvero un tetto massimo oltre il quale il tasso non può salire. Attualmente questa tipologia di mutuo, a fronte di spread di circa 0,5-1% superiori al variabile puro, offre una protezione da futuri rialzi dei tassi con tetti che nelle prossime settimane si potrebbero stimare essere pari al 4% circa. Nascondono, invece, potenziali insidie i mutui a tasso variabile con rata fissa che prevedono, in caso di rialzo dei tassi, di allungare la durata del mutuo in luogo dell’incremento della rata: nelle fasi di forti rialzi dei tassi nella prima fase del rimborso, a causa del meccanismo di ammortamento alla francese di cui si diceva innanzi, dopo i primi anni ci si potrebbe ritrovare ad aver pagato le rate di mutuo e ritrovarsi con un capitale residuo maggiore di quello di partenza.
Quale tipologia di mutuo scegliere?
Indipendentemente dai calcoli di convenienza puramente finanziaria, è opportuno che la scelta della tipologia di tasso venga fatta anche in funzione delle esigenze personali di coloro che contraggono il prestito. Ad esempio, se il tasso variabile generalmente è più conveniente del tasso fisso, esso può esporre nel medio periodo a fluttuazioni importanti della rata che non tutti i mutuatari possono permettersi di sopportare. Al contrario, un giovane mutuatario con la prospettiva di un futuro incremento dei propri redditi ed una adeguata stabilità economica, può pensare di “correre il rischio” di una rata in crescita a fronte della prospettiva di consistenti risparmi di spesa. In linea di massima, chi è finanziariamente solido può permettersi fare scelte più incerte e meramente orientate alla convenienza economica, chi si trova in situazioni economiche meno stabili è spesso opportuno che scelga una rata mediamente più alta ma stabile, se questa è compatibile con la propria capacità di rimborso. In un contesto in rapida evoluzione, le righe che precedono vanno lette più nell’ottica di approfondire i meccanismi di scelta che di trovare la soluzione in astratto ideale. Il consiglio di sempre è quello di confrontarsi con il proprio consulente, che è l’unico in grado orientare le decisioni verso una tipologia di mutuo che contemperi al meglio le proprie esigenze personali e l’ottimizzazione finanziaria in base alle prospettive di mercato.

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