Non è raro che un genitore doni un proprio immobile ad un figlio oppure il marito alla moglie o viceversa. Purtroppo, non sempre questa operazione viene fatta con la consapevolezza di tutte le conseguenze che tale scelta comporta, finendo spesso per condizionare la commerciabilità ed il valore dell’immobile oggetto di donazione per molti anni.
Innanzitutto, è bene ricordare che la donazione è un contratto con il quale un soggetto – il donante – arricchisce per spirito di liberalità (e cioè senza pretendere alcuna controprestazione) un altro soggetto – il donatario – trasferendogli un proprio diritto o assumendo un obbligo nei propri confronti. Nel caso in esame, il donante trasferisce la proprietà di un bene immobile al donatario senza che vi sia pagamento di alcun prezzo. Perché questo atto di donazione comporta conseguenze sulla commerciabilità e conseguentemente sul valore dell’immobile donato? Per comprenderlo è opportuno ricordare che in caso di successione, il nostro ordinamento riserva a determinati soggetti detti legittimari (il coniuge, i figli e gli ascendenti del defunto) una quota di eredità, la legittima appunto, della quale essi non possono essere privati per volontà del defunto. Per calcolare la quota spettante ai legittimari, occorre sommare al patrimonio esistente alla data della morte del soggetto anche quanto donato in vita.
Se un legittimario viene privato, in tutto o in parte, della sua quota di legittima per effetto di una disposizione testamentaria o di una donazione effettuata in vita dal defunto, può far valere il diritto a ricevere la propria quota di legittima mediante un’apposita azione giudiziaria, detta azione di riduzione. L’erede leso ha 10 anni per far valere il proprio diritto a partire dalla data della morte del donante. Infine, è bene ricordare che, per espressa disposizione di legge, i legittimari possono rinunciare all’azione di riduzione solo dopo la morte del soggetto della cui eredità si tratta e mai durante la sua vita. L’azione di riduzione va proposta nei confronti del donatario che ha ricevuto una quantità di beni tale da ledere i diritti del legittimario. Però, se il donatario ha ceduto ad altri gli immobili ricevuti in donazione ed il legittimario leso non ha altri beni sui quali soddisfare le proprie ragioni, potrà chiedere agli acquirenti del bene donato la restituzione di tale bene (mediante la cosiddetta azione di restituzione). Dunque, chi acquista da altri un bene che è stato oggetto di donazione si espone al rischio di dover restituire il bene al legittimario leso fino a quando non sono trascorsi 10 anni dalla morte del donante.
Ad esempio, se Antonio che ha come legittimari due figli dona al primo figlio Paolo l’unico immobile di sua proprietà, e alla sua morte non lascia nessun altro bene, il secondo figlio Luca può esperire l’azione di riduzione nei confronti di Paolo se ritiene che la donazione abbia leso la sua quota di legittima. Se Paolo, nel frattempo, ha venduto l’immobile donato a Francesco, Luca potrà rivolgersi a Francesco e farsi restituire il bene che ha acquistato. Se Francesco dovesse aver a sua volta già venduto l’immobile a Carla, Luca potrà chiedere la restituzione del bene anche a Carla. Dunque, è evidente che chi compra un bene donato senza che siano trascorsi 10 anni dalla morte del donante si espone al rischio dell’azione di restituzione. Ecco perché le banche spesso non concedono mutui su immobili oggetto di donazioni: la loro ipoteca a garanzia del finanziamento potrebbe perdere efficacia. Inoltre, è molto più difficile vendere immobili donati in quanto il compratore si espone ai rischi di cui si è detto ed ha spesso difficoltà a finanziarlo con un mutuo.
Nel 2005 è intervenuta una legge che ha integrato la disciplina di cui sopra, stabilendo che l’azione di restituzione può essere intrapresa dal legittimario leso solo se non sono trascorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione. Quindi per le donazioni effettuate dal 15 maggio 2005, trascorsi 20 anni dalla donazione senza che sia intervenuta opposizione del coniuge o dei parenti in linea retta, il terzo acquirente dell’immobile non corre più rischi anche se non sono ancora trascorsi 10 anni dalla morte del donante.
Alla luce di quanto appena detto, è bene ricordare che:
- chi compra un immobile è opportuno che si accerti dell’eventuale provenienza per donazione dell’immobile in quanto ciò determina un rischio potenziale per l’acquirente e spesso la difficoltà/impossibilità di contrarre un mutuo per tale acquisto: nel caso di presenza di donazioni è opportuno accertarsi se siano trascorsi 10 anni dalla morte del donante o 20 dalla donazione (se posteriore al 2005);
- chi dona un immobile deve valutare attentamente le conseguenze che tale donazione ha sulla futura commerciabilità dell’immobile: anche se il donante sa che i rapporti fra gli eredi sono “sereni” e rendono improbabili conflitti fra di loro, il terzo acquirente dell’immobile può non avere questa certezza e potrebbe rinunciare all’acquisto o pretendere un forte sconto; dal canto loro, di certo le banche saranno riluttanti a concedere mutui con ipoteca su quel bene.
Dunque, tutte le volte che si ritiene di dover procedere ad una donazione, è bene confrontarsi preliminarmente con il proprio consulente per valutare se è possibile perseguire strade alternative che mettano a riparo dalle conseguenze di una donazione. Se è vero che “a caval donato non si guarda in bocca” è opportuno valorizzare al meglio i regali che si fanno o si ricevono.

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