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Da giorni il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) è tornato al centro del dibattito politico. Le modifiche al fondo salva Stati, destinato a sostenere finanziariamente i Paesi dell’UE in difficoltà, sono state approvate da tutti gli Stati interessati tranne che dall’Italia. Secondo alcuni il MES è essenziale per garantire la stabilità finanziaria all’interno dell’area euro, per altri un ulteriore strumento nelle mani dei burocrati di Bruxelles per controllare e vessare i cittadini dei paesi membri. L’impressione è che, sebbene se ne discuta tanto, in pochi sappiano realmente di cosa si tratta e quali sono le modifiche proposte dalla sua riforma. Soprattutto può meravigliare che ci sia così ampio dibattito su una riforma del Meccanismo di stabilità che riguarda aspetti molto tecnici. Proviamo a fare chiarezza in 7 domande, da cos’è il Mes a quali sono le modifiche proposte, per finire con il cercare di capire il motivo della loro ritardata approvazione.

 

Che cosa è il MES e perché è stato creato?

Il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) è stato istituito mediante un trattato intergovernativo (ovvero fra i Governi dei Paesi che fanno parte dell’area euro) nel “lontano” 2012. La sua costituzione è avvenuta dopo la grave recessione economica del 2008-2010 nella convinzione che il fallimento di uno dei Paesi membri dell’Unione Europea rappresenterebbe un grave rischio per la stabilità economico-finanziaria e la sopravvivenza dell’intera Unione Europea. Infatti, la funzione fondamentale del MES è quella di fornire supporto finanziario ai Paesi dell’Eurozona che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, si trovino in temporanea difficoltà nel finanziarsi sul mercato. In parole più semplici, il MES concede dei prestiti ed altri supporti finanziari quando uno Stato ha bisogno di fondi e non è più in grado di richiederli al mercato per mancanza di fiducia nella sua capacità di restituirli.

 

A quali condizioni il Mes fornisce supporto finanziario?

La richiesta di sostegno è volontaria ed è effettuata dal singolo Stato che dovesse ritenerla necessaria. Nella prima metà del decennio scorso l’assistenza è stata fornita a Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro. La concessione dell’assistenza è però subordinata all’attuazione, da parte del Paese beneficiario degli aiuti, di un programma di aggiustamento macroeconomico. In sostanza, si richiede al Paese che ha beneficiato degli aiuti di realizzare quelle riforme e quelle riduzioni di spesa necessarie per consentire ai conti pubblici di ritornare in equilibrio nel medio-lungo periodo. È questo uno dei punti meno graditi del meccanismo di aiuto, poiché richiede a chi governa di attuare riforme e tagli di spesa che nell’immediato non sono graditi agli elettori, anche se è sensato che chi presta dei soldi a colui che non è in condizione in quel momento di restituirli, possa richiedere di attuare quelle misure in grado di ristabilire in futuro la capacità di farlo.

 

A quanto ammontano le risorse del Mes e chi vi contribuisce?

capitali a disposizione del MES sono versati dagli stessi Stati membri: attualmente è stato sottoscritto un capitale pari a circa 705 miliardi di euro di cui 80 versati. L’Italia è il terzo contributore dopo la Germania e la Francia, ha sottoscritto un capitale di 125 miliardi e ne ha versati poco oltre 14. Questi tre paesi da soli forniscono circa due terzi di tutte le risorse del MES.

 

Chi prende le decisioni relative all’intervento del MES?

Le decisioni nel MES sono prese dal “Consiglio dei Governatori”, composto dai ministri delle finanze dell’area euro, e sono prese all’unanimità tranne che nei casi di urgenza nei quali è consentita una maggioranza qualificata dell’85%. In questi casi, i voti sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi Paesi. Germania, Francia ed Italia sono gli unici Paesi che hanno diritti di voto superiori al 15% e possono quindi porre il loro veto su tali decisioni “urgenti”. Dunque, di fatto sono i ministri delle finanze dei singoli Stati a prendere le decisioni di intervento e non i “burocrati” di Bruxelles e l’Italia in quanto importante contributore ha sempre diritto di veto e può opporsi a qualunque intervento.

 

Quali sono le principali modifiche legate all’attuale riforma?

La riforma del MES che deve essere ancora ratificata dall’Italia è “figlia” di un processo iniziato nel 2017 riguarda aspetti molto tecnici. Le modifiche più rilevanti sono:

  • L’introduzione del cosiddetto backstop, ovvero la possibilità da parte del MES di fornire risorse finanziare a supporto del Fondo unico di risoluzione. Il Fondo in questione serve a far fronte all’eventuale salvataggio di banche in crisi ed è finanziato con i contributi versati dalle banche europee di dimensioni rilevanti. Poiché il suo ammontare potrebbe rilevarsi insufficiente a fronteggiare un’importante crisi bancaria, la riforma consentirebbe al MES di supportare con le proprie risorse il Fondo unico di risoluzione, che dovrà poi negli anni rimborsare il prestito.
  • La preliminare verifica della sostenibilità del debito (già prevista dal trattato in vigore) verrebbe affiancata da una verifica più dettagliata sulla capacità di ripagare il prestito (oggi utilizzata solo post programma).
  • Una definizione dei requisiti preliminari più precisa per la concessione delle linee di credito precauzionali, ovvero linee di credito più “leggere” concesse a titolo precauzionale se uno Stato rischia di finire in difficoltà, ma non ha ancora perso del tutto la capacità di finanziarsi autonomamente: in questi casi, il sostegno del MES prevede impegni di riforma più limitati rispetto al caso di totale incapacità di accedere al mercato finanziario.
  • La riforma delle CACS (clausole di azione collettiva sul debito), che riguardano le modalità di approvazione da parte dei creditori di uno Stato delle modifiche dei termini di rimborso del debito. Si tratta di un argomento molto complesso e difficile da spiegare in poche righe, ma la riforma vuole evitare che il meccanismo di votazione in vigore favorisca i fondi speculativi a svantaggio degli altri creditori.

Come si può notare, si tratta di aspetti molto tecnici e per questo stupisce la portata del dibattito politico e l’ampia discussione fra gli elettori.

 

Cosa NON riguarda l’attuale riforma del MES?

La recente riforma in discussione non riguarda:

  • il cosiddetto “Bail in” del debito pubblico, ovvero la necessità per uno Stato che volesse ricevere assistenza dal MES di essere obbligato, in via preliminare, a fare default nei confronti dei suoi creditori esistenti (la riforma era stata inizialmente prospettata e poi abbandonata e sarebbe stata molto penalizzante per l’Italia).
  • la sua struttura di funzionamento sulla base del principio intergovernativo: molti avrebbero voluto sottrarre la sua gestione ai Governi dei singoli Stati e trasferirla agli organi comunitari per garantire maggiore collegialità e diluire il peso dei Paesi economicamente e politicamente più forti come la Germania, la Francia e l’Italia.

 

Perché l’Italia non ha ancora approvato la riforma del MES?

Più che per motivi tecnici, che avrebbero scarsa consistenza, secondo molti osservatori, alla base della mancata approvazione della riforma del MES sembra che vi siano motivazioni essenzialmente politiche. I partiti di governo non vogliono sembrare incoerenti con le posizioni di forte avversità verso il MES manifestate negli anni passati. Infatti, sebbene queste modifiche non riguardino la struttura base del meccanismo, i partiti di maggioranza temono che la loro approvazione possa essere percepita dagli elettori come un incomprensibile cambio di direzione. Oltre a queste motivazioni “interne”, secondo alcuni la ritardata ratifica del Mes verrebbe utilizzata dall’Italia come “contropartita” nella più complessa trattativa sui debiti pubblici che si sta giocando in Europa. Infatti, le regole di bilancio europee, che prevedono limiti di spesa per i singoli Paesi, sono state sospese con lo scoppio della pandemia e ciò ha fatto esplodere i debiti pubblici. Dal prossimo anno torneranno in vigore i vincoli di bilancio. Paesi molto indebitati come l’Italia vorrebbero norme più flessibili sul patto di stabilità, mentre la Germania ed i Paesi più attenti al rigore di bilancio, vorrebbero meccanismi automatici di riduzione annuale del debito pubblico. L’impressione è che la vera partita non riguardi le modifiche “tecniche” alla normativa del Mes.