“I valori fondamentali dell’Europa sono la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia in un ambiente sostenibile”. L’Europa rischia seriamente di non riuscire in futuro a garantire che i suoi cittadini possano beneficiare di tutti questi diritti fondamentali. Per continuare a farlo, è costretta a crescere e diventare più produttiva, ma per farlo occorre che cambi radicalmente. Secondo Draghi siamo di fronte ad una vera e propria “sfida esistenziale”. Come fare a vincere questa sfida? Ecco in breve la sua ricetta.
Lo stato dei fatti ed il divario di crescita
Dall’inizio del XXI secolo l’Europa ha sperimentato un preoccupante rallentamento della crescita e le strategie che si sono succedute per contrastare questo fenomeno non hanno avuto successo. Negli ultimi decenni si è incrementato il divario con gli Stati Uniti in termini di crescita del PIL, principalmente a causa del pronunciato rallentamento della crescita della produttività in Europa (vedi grafico sotto). Minore crescita economica vuol dire minore ricchezza, ma può voler dire anche minore equità e spesa sociale, minore tutela dell’ambiente e minori investimenti per la prosperità futura. Il quadro è aggravato dalla forte dipendenza energetica dall’estero e dal fatto che l’Europa ha in gran parte mancato la rivoluzione digitale, un fattore determinante per l’aumento della produttività in un mondo sempre più trainato dalle tecnologie emergenti.
Tasso di crescita misurato dal PIL a prezzi costanti ed a Parità di potere di acquisto di Usa, Europa e Cina: il tasso di crescita europeo costantemente più basso ha incrementato progressivamente il divario con gli altri due Paesi.
Secondo Draghi, se l’Europa mantenesse costante il tasso di crescita della produttività dell’ultimo decennio, riuscirebbe solo a mantenere costante il PIL fino al 2050 e ciò non consentirebbe di affrontare adeguatamente le sfide rilevanti del futuro prossimo quali:
- l’evoluzione tecnologica, in un mondo in cui la digitalizzazione dell’economia avrà un peso crescente;
- la decarbonizzazione, in un mondo caratterizzato da crescenti problemi di sostenibilità ambientale;
- l’incremento delle capacità di difesa, in un contesto geopolitico molto più instabile che in passato.
Se non incrementeremo la quota degli investimenti in Europa, a livelli assai superiori a quelli attuali e fino a tassi vicino al 5% annuo, non riusciremo a raggiunge i livelli di produttività in grado di farci competere con le maggiori economie internazionali. Ciò ci costringerà a ridimensionare il nostro modello sociale, ridurre i livelli di responsabilità climatica, diventare meno indipendenti sulla scena mondiale.
Come rilanciare la crescita
Vista la presumibile evoluzione del contesto economico globale, Draghi individua tre settori principali di intervento ai quali occorre dare priorità per rilanciare la crescita:
- Colmare il divario in termini di innovazione con Stati Uniti e Cina, in particolare per quanto riguarda le tecnologie avanzate: “Con un mondo sull’orlo della rivoluzione dell’intelligenza artificiale (AI), l’Europa non può permettersi di rimanere bloccata nelle tecnologie ed industrie di mezzo del secolo precedente”.
- Un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività: “La decarbonizzazione contribuirà a spostare la produzione di energia verso fonti energetiche pulite”, riducendo ma non eliminando la dipendenza dai combustibili fossili di cui siamo poveri; affinché questo processo “diventi anche una fonte di crescita per l’Europa avremo bisogno di un piano congiunto che comprenda le industrie che producono energia e quelle che consentono la decarbonizzazione, come le tecnologie pulite e l’industria automobilistica”.
- Aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze: “La sicurezza è un prerequisito per una crescita sostenibile. L’aumento dei rischi geopolitici può accrescere l’incertezza e frenare gli investimenti”. Inoltre, l’Europa dipende da una manciata di fornitori per le materie prime critiche, in particolare la Cina, ed oltre l’80% della produzione di chip e componenti tecnologici dipende dall’Asia: ciò potrebbe renderci vulnerabili alla coercizione e minare la nostra libertà economica.
Cosa fare per superare gli ostacoli
“Mai in passato le dimensioni dei nostri Paesi sono apparse così piccole e inadeguate rispetto alle dimensioni delle sfide”. Non resta che agire su alcuni temi chiave attraverso strategie comuni a livello europeo. Purtroppo, “l’Europa non si coordina là dove più conta”. Inoltre, le norme che regolano i processi decisionali non si sono evolute con l’allargamento dell’Europa e ciò fa sì che i provvedimenti siano lenti e talvolta ostacolati dal diritto di veto. Dall’altro lato, se in alcuni settori è necessario operare “delegando a livello dell’UE compiti che possono essere svolti solo in questo ambito, in altri settori l’UE dovrebbe fare un passo indietro […] riducendo l’onere normativo che impone alle imprese dell’UE”. In sostanza: più Europa dove occorre per affrontare le sfide globali che i singoli Stati non possono pensare di affrontare da soli e meno Europa dove non è indispensabile.
È dunque fondamentale coordinare l’azione europea su alcuni temi chiave. Non collaboriamo abbastanza sull’innovazione: ad esempio, nonostante gli investimenti pubblici in tecnologie innovative richiedano grandi pool di capitali, solo un decimo della spesa in ricerca e sviluppo avviene a livello dell’UE e non ci coordiniamo adeguatamente in settori chiave come quello dell’energia o quello della difesa per produrre su vasta scala e standardizzare le attrezzature (ad esempio, in Europa si producono dodici tipologie di carri armati, mentre negli Stati Uniti uno solo). Peraltro, in progetti chiave come l’innovazione, l’energia e la difesa non è pensabile che siano sufficienti gli investimenti privati: oltre al coordinamento comunitario occorrono massicci investimenti pubblici e finanziamenti comuni. Dire no al debito comune significa ostacolare il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione, sottolinea l’ex presidente della Bce.
Considerazioni conclusive
L’attuazione della “ricetta” Draghi richiede che l’Unione Europea si ponga come obiettivo prioritario la crescita della produttività. Nel nuovo contesto economico occorre realizzare un quadro di efficace coordinamento delle politiche comuni, semplificare i processi decisionali e renderli più rapidi, ridurre gli oneri normativi per le aziende, sostenere la produttività attraverso un massiccio piano di investimenti pubblici, in parte finanziato attraverso il debito comune. Se su alcuni temi c’è vasto consenso, per altri c’è grande divergenza di opinioni, ma l’impressione è che al di là delle ricette da perseguire manchi ancora, e oggi forse più che nel recente passato, una visione ed un sentire comuni europei. Purtroppo, gli interessi nazionalistici di breve finiscono spesso per prevalere sull’interesse collettivo: fatta l’Europa, forse occorre ancora tempo per fare gli europei. Speriamo che ciò non avvenga troppo tardi per preservare “la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia”.

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