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Mentre stiamo per festeggiare la nascita del bambino più famoso della storia, uno spettro aleggia sulla società e sull’economia italiana: il calo delle nascite. Secondo i dati Istat, l’attuale tasso di fecondità, ovvero il numero di figli per donna, è sceso a 1,20. È un valore troppo basso per impedire la diminuzione della popolazione ed il suo costante invecchiamento. Quello demografico è probabilmente il maggior problema dell’Italia di oggi nell’orizzonte dei prossimi 30 anni. Le prospettive sono inquietanti ed avranno un impatto rilevantissimo sulla crescita economica, sul debito pubblico, sul cosiddetto welfare state e più in generale sul livello di benessere individuale e collettivo. Quali in dettaglio le prospettive demografiche per il nostro paese? Quali politiche potremmo realizzare per invertire queste tendenze o almeno per renderle meno intense?

 

 

Le tendenze demografiche del futuro

Oltre quattro milioni di residenti in meno entro il 2050. Le ultime previsioni sul futuro demografico del nostro paese evidenziano tendenze la cui direzione parrebbe irreversibile. La popolazione residente è in diminuzione: da circa 59 milioni del 1° gennaio 2023 a 58,6 mln nel 2030, fino a 54,8 mln nel 2050 e soli 46,1 mln nel 2080. In questo contesto, a preoccupare di più è il cosiddetto indice di dipendenza strutturale, ovvero il rapporto tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) e la popolazione in età attiva (15-64 anni), moltiplicato per 100: passerà da circa due a tre nel 2023 a circa uno ad uno nel 2050. Nel 2050 l’età media degli italiani sarà cresciuta a circa 50,8 anni. Tra 20 anni ci sarà circa un milione di famiglie in più, ma sempre più piccole e spesso composte da una sola persona: entro il 2043 meno di una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà, 4 su 10 saranno costituite da una sola persona.

Dunque, nel giro di una generazione saremo circa quattro milioni di italiani in meno, saremo mediamente più vecchi e dipendenti da una popolazione in età attiva percentualmente sempre più esigua. Il progressivo invecchiamento della popolazione è chiaramente visibile nella piramide delle età che rappresenta la struttura per età e sesso della popolazione (si veda la figura sotto).

Già nel confronto con il solo anno precedente, si notano differenze marcate anche su un orizzonte temporale così contenuto. Nel lungo periodo la struttura della piramide demografica è destinata a modificarsi ulteriormente fino ad assumere un’inquietante forma a “cassa da morto”, funesto presagio del declino demografico di un paese.

 

 

Le principali cause dello squilibrio demografico

La struttura della popolazione residente è oggetto da anni di uno squilibrio tra nuove e vecchie generazioni dovuto alla combinazione, tipicamente italiana, dell’aumento della longevità e di una fecondità costantemente bassa. In sostanza, da un lato assistiamo al fenomeno positivo di un costante allungamento delle aspettative di vita, che rende sempre più numerosa la popolazione anziana, e dall’altro ad un livello di fecondità e di conseguenti nascite troppo basso, che non riesce ad incrementare la quota di popolazione più giovane. Non è facile e spesso è semplicistico riassumere le cause dello squilibrio demografico di un paese, ma volendo effettuare una sintesi estrema, in Italia di vive “troppo” a lungo e si fanno troppi pochi figli. Il grafico sotto illustra tasso di fecondità, ovvero il numero di figli per donna, che è in costante diminuzione ed ormai pari a 1,20. Per poter interrompere la contrazione della popolazione occorrerebbe che superasse 1,70 nel prossimo decennio.

 

 

Le conseguenze dello squilibrio demografico

Perché è così importante un’adeguata crescita demografica per garantire la crescita economica ed il benessere sociale? Non è forse meglio avere meno “bocche da sfamare”? Per comprenderlo è sufficiente riflettere sul dato relativo all’indice di dipendenza strutturale, che misura rapporto tra la popolazione in età non attiva e quella in età attiva. Questo rapporto diverrà pari a circa uno ad uno nel 2050. Ciò vuol dire che coloro che sono in età potenzialmente lavorativa dovranno farsi carico non solo del proprio sostentamento, ma mediamente anche di quello di un’altra persona. Occorre pensare che non si tratta solo del carico familiare diretto, ma più in generale del carico sociale e statale (istruzione, assistenza sanitaria, pensioni, ecc.). Tutto ciò senza considerare anche l’apporto in termini di dinamismo e propensione all’innovazione che le nuove generazioni danno alla società e all’economia, fattori sempre più determinanti nel processo di crescita economica. In sostanza, se sono ormai distanti gli anni in cui i proletari avevano come unica ricchezza una prole numerosa, come paese abbiamo nuovamente bisogno di un numero di giovani in grado di farsi motore della crescita e supporto delle generazioni più anziane.

Sul versante più strettamente finanziario, i giovani lavoratori dovranno pensare per tempo ad integrare pensioni pubbliche di base sempre più basse e provvedere a far fronte ad eventi imprevisti con coperture assicurative. Le polizze cosiddette “long term care”, per far fronte alla perdita di autosufficienza in età avanzata, diventeranno sempre più necessarie per l’effetto congiunto di prestazioni pubbliche più contenute e rete di supporto familiare meno solida. Infine, il settore immobiliare potrebbe essere fortemente impattato da un lato dalla riduzione della popolazione e dall’altro dall’incremento dei nuclei familiari: soprattutto gli immobili di dimensioni maggiori potrebbero diventare sempre meno appetibili.

 

 

Cosa contrastare il declino demografico

Affrontare la denatalità e l’invecchiamento della popolazione richiede una combinazione di politiche sociali, economiche e culturali. Secondo gli esperti è opportuno attuare strategie quali:

  • politiche di supporto alla famiglia, come i sussidi per ogni figlio nato per coprire le spese iniziali, adeguati congedi parentali ad entrambi i genitori per consentire di prendersi cura dei figli senza avere elevati impatti economici, una vasta rete di servizi per l’infanzia a partire dagli asili nido e dalle scuole materne con orari prolungati;
  • politiche abitative volte ad offrire agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa alle giovani famiglie con figli ed un nuovo programma di edilizia popolare per garantire alloggi a prezzi calmierati;
  • politiche del lavoro volte ad incentivare il lavoro giovanile con formazione mirata e incentivazioni fiscali, nonché a promuovere la parità di genere nel mercato del lavoro (i dati sembrano indicare che il numero di figli cresce al crescere dell’occupazione femminile) ed infine favorire orari di lavoro flessibili o da remoto;
  • politiche migratorie volte a favorire l’immigrazione regolare di lavoratori stranieri e delle loro famiglie, assicurando programmi di integrazione efficaci, ma allo stesso tempo evitare che i nostri migliori giovani emigrino all’estero con il loro bagaglio di conoscenze e voglia di lavorare.

 

 

Le conclusioni

In uno scenario a dir poco sconfortante per l’evoluzione attesa della popolazione in Italia, occorre prendere consapevolezza che è difficile impattare sulle dinamiche demografiche in tempi brevi. Fortunatamente l’evoluzione della popolazione rispecchia il principio di risultare tanto più incerta quanto più ci si allontana dall’anno delle previsioni. Nell’ambito di ipotesi ragionevoli, a meno di ipotizzare scenari estremi, la popolazione italiana diminuirà ed invecchierà, ma l’entità della riduzione può presentare evidenze numeriche profondamente diverse una dall’altra in base alle politiche sociali che si realizzeranno. Occorre agire subito in quanto non è facile invertire rapidamente le tendenze demografiche. È in gioco il nostro benessere economico futuro, molto più di quanto si possa immaginare.